Tuo figlio è un hikikomori?

Si parla tanto di ritiro sociale volontario (hikikomori in giapponese), ma è ancora insolito imbattercisi nella vita di tutti i giorni. Si può capire che è difficile incontrare un adolescente che se ne sta rinchiuso nella propria cameretta. Si può anche capire che è altrettanto difficile incontrare un genitore che abbia tanta voglia di raccontarlo. La realtà, però, supera queste immediate considerazioni iniziali.

Il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc) è andato un po’ oltre la cortina tesa intorno al fenomeno ed ha scoperto, invece, che una quota significativa di genitori non si rende conto di avere in casa un hikikomori. La sorpresa, però, arriva dal mondo della scuola: nel 25% dei casi gli insegnanti avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande! Eppure stiamo parlando di adolescenti ancora in età di obbligo scolastico: spariscono dalla scena, ma non ci pone alcuna domanda.

Sulla base della ricerca del Cnr – Ifc, proviamo a delineare un identikit dell’adolescente in ritiro sociale volontario per fornire una cartina di tornasole a genitori ed insegnanti che vogliono porsi qualche domanda. Lo facciamo raccontandovi una storia.

Filippo ha invitato un bel po’ di amici e amiche alla sua festa di compleanno. Una buona parte sono compagni di scuola e un’altra sono persone conosciute in altri ambienti. In tutto si tratta di una quarantina di ragazzi tra i 15 e i 19 anni. Paolo, il papà di Filippo gli chiede notizie di un suo vecchio compagno delle Medie che non vede alla festa e Filippo gli spiega che ha declinato l’invito con un messaggio nel quale diceva che sarebbe venuto alla festa e ha raccontato che passa il tempo chiuso volontariamente nella sua cameretta da quasi un anno senza interruzioni. Paolo si ricorda che era già successo in terza media, quando questo ragazzo era rimasto a casa quasi tutto il primo quadrimestre ed era dovuto tornare a scuola per evitare di ripetere l’anno. Adesso è dalla fine del secondo anno delle superiori che nessuno lo vede più in circolazione. Nel messaggio ha spiegato che preferisce starsene a casa con i videogame, perché almeno lì non fa la solita figura della schiappa irrecuperabile. I primi tempi il padre un po’ si è allarmato, poi ha smesso di fare domande.
Filippo racconta al padre che da un paio di mesi anche una sua compagna di classe ha smesso di venire a scuola e passa il tempo leggendo, guardando la TV o dormendo nella sua cameretta. Lei dice di essere una hikikomori al contrario dell’altro amico che non ha fatto cenno a questa parola. Filippo spiega al padre che in fondo li capisce, perché la vita diventa dura, se non riesci a stare al passo con gli altri.

In sintesi agli esperti appaiono chiare anche le cause che la dott.ssa Illiano riassume così:

Non ultimo la società che, come abbiamo visto, è la causa principale dell’isolamento. La richiesta di perfezionismo deriva proprio da essa: realizzarsi professionalmente, essere sempre alla moda, riuscire ad omologarsi al gruppo per farne parte…sono tutto ciò da cui un ragazzo in isolamento cerca di fuggire.

Anche nel hikikomori, dunque, appare chiaro che l’intervento psicologico individuale è solo una parte della possibile risposta al disagio. Solo un intervento sul nostro sistema culturale potrebbe avere degli effetti significativi, duraturi e diffusi. Ciò ci colpisce molto, perché come nel fenomeno del femminicidio o nell’adultescenza, torna l’influenza che la nostra cultura produce su varie categorie di persone. Questi fenomeni sono accomunati, per esempio, dalla qualità delle relazioni: le persone sembrano impegnate soprattutto a conservare la sicurezza e le gratificazioni delle relazioni dell’infanzia o a stabilire relazioni adulte sostanzialmente infantili. Questa ostinazione ricorda Peter Pan e il suo rifiuto della società degli adulti:

«Non voglio andare a scuola e imparare cose serie», le disse con ardore. «Non voglio diventare un uomo. Oh, mamma di Wendy, pensa se un giorno dovessi svegliarmi con la barba!».
(Barrie, Le avventure di Peter Pan, e-newton classici, 2008)

In tutti i casi è possibile almeno ipotizzare una relazione causale con la cultura liquida della nostra postmodernità, come ha fatto il prof. Ricolfi per il femminicidio o Famiglia cristiana per l’adultescenza. Se da un lato essa proclama ad ogni piè sospinto il primato della libertà su qualsiasi altro valore, dall’altro impone ai suoi individui la dura legge della competizione, l’imperativo di essere sempre all’altezza delle richieste del mondo del lavoro o dei bisogni indotti dal consumismo. Per la prima volta nella Storia la realizzazione individuale è assurta a principio sociale e diritto personale, ma con l’obbligo di fondarla sulle sole risorse individuali. L’individuo può, anzi deve realizzarsi da solo o anche isolato.

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